A chiusura del Festival Biblico mi fermo e cerco di riordinare i pensieri e gli spunti raccolti in questi giorni. Lo faccio a partire dal principio che ha fatto nascere il mio blog www.ubuntuh.com “io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti“.
La condivisione del sapere, fatto di scienza e conoscenza, è la via maestra in questo tempo di network virtuali. Perché la vera sapienza non è nozionismo accademico, ma il saper collegare quel che si sa, per migliorare quello che si è.
Così inizio dall’incontro con Vittorino Andreoli in una Chiesa gremita: “La pace è un’esigenza forte e fondamentale per la vita, parliamo di pace perché non c’è. La lotta appartiene da sempre agli uomini e i grandi scienziati, nei vari ambiti, hanno riconosciuto in ogni conquista umana, compresa la dimensione famigliare, il paradosso ‘si vis pacem, para bellum – se vuoi la pace prepara la guerra’. Ma l’individuo ha un’infinita possibilità di bene, di benedire – dire bene -, nonostante la manifesta dualità tra il desiderio di fare pace e gli ostacoli per farla. È importante amare gli uomini rivalutando la fragilità che è in essi(concetto ben espresso in uno dei miei post da un altro grande luminare della psichiatria, Eugenio Borgna) e che permette di essere vero mistero, il percepire il nostro limite ci aiuta a capire che qualcosa della nostra vita è mistero. Serve modificare il nostro logos sostituendo vocaboli come ‘invidia, odio, nemico’ per aprirsi a valori come fede, umanità. Il nuovo umanesimo si apre nell’accordo con l’altro, nell’essere integri nelle diversità, nel dimenticare la ragione che crea ‘potere’. Il potere che usa l’altro è una malattia sociale, noi non siamo quel che possediamo, dobbiamo imparare distinguere ciò che siamo, da ciò che possediamo e da quel che rappresentiamo. Noi valiamo per quel che siamo e la nostra fragilità ci aiuta ad aiutare gli altri. Dobbiamo recuperare la bellezza dello stare insieme, perché ogni uomo è una storia. La pace è possibile a partire dalla tolleranza verso noi stessi. Dobbiamo smettere l’io e il mio, per fare spazio al noi e al nostro.”
Il percorso psicologico lascia spazio alla filosofia e nel Festival Biblico, che è spazio di cultura attraverso le Sacre Scritture, incontri Silvano Petrosino che propone un’idea nuova della Bibbia, fuori dalla dogmatica teologia spacca la sala dicendo che la Bibbia è un libro antropologico scritto da Dio creatore alla sua creatura. Dio come autore, l’uomo come tema. Silenzio.
In effetti è un luogo antropologico dove si incontrano le dimensioni dell’uomo nei suoi molteplici ruoli e ambiti. È una proposta contraria al nostro mondo che vede solo i ‘primi’, gli ‘arrivati’, Dio parla degli ultimi e non perché desideri l’agonia dell’uomo. Il sogno di Dio per la sua creatura è la gioia, un’agape che dimora nell’economia del dono. E la via per l’universalità del bene è la giustizia, sii giusto, in una logica di reciprocità ed equivalenza. In ogni azione c’è relazione e serve fare all’altro quello che vorresti fosse fatto a te. L’ultima parola di Dio è giustizia e misericordia.
A partire dal termine misericordia passo all’incontro con Adriana Valerio su donne e Bibbia. Il significato della parola misericordia è da cercare nella cultura biblica e in altre lingue semitiche, come l’arabo e l’aramaico, la misericordia di Dio si esprime con la radice r-h-m, da cui il termine ebraico rahamim, plurale o accrescitivo di rehem, utero, seno materno. La parola italiana, che è composta da “miseri-cor-dare” (dare, offrire il proprio cuore a chi è misero, nel bisogno), ci orienta nella direzione del significato biblico.
Adriana Valerio traccia un percorso in cui visita la presenza delle donne nelle Sacre Scritture, una presenza che integra l’uomo proprio a partire dalle differenze. Se un testo è storia di salvezza, non può avere valori contro le donne e se ci sono è perché le interpretazioni del testo sono state sbagliate o volutamente strumentalizzate.
Aristotele diceva che la donna è un maschio mancato e questo la inserisce in un modello costitutivo di inferiorità. Va rivalutata la fragilità, perché Gesù è un Dio fragile, dalla debolezza di una donna è nato Gesù e dalla debolezza di Gesù è venuta la salvezza. Spesso la scrittura è stata interpretata in modo ‘imperfetto’, quando San Paolo si rivolge alle donne suggerendo di usare il silenzio, si riferisce al contesto storico del momento e alla comunità di Corinto, non al silenzio assoluto delle donne per il resto dei tempi.
Enzo Pace, sociologo, conferma la linea delle strumentalizzazione delle religioni come strumenti di guerra. Non esistono guerre sante, lo conferma il reclutamento di non musulmani nell’Isis, ma di guerre in cui si usa l’identificazione sociale attraverso lo stato, la lingua e la religione. Dopo le guerre uno dei processi di riparazione è la riconciliazione delle memorie. Il collasso della nostra civiltà viene dall’idea che la diversità ci rende incompatibili. Andrea Riccardi ricorda che la guerra è un grande affare e che il disprezzo dell’umanità dell’altro crea paura e scontro. La voglia di pace deve essere seguita dal fare pace. Dobbiamo diventare pacificatori creando sinergia, legami e idee perché la pace è doverosa.
Chiudo a tal proposito con l’incontro Jonny Dotti e Mauro Magatti sul tema del lavoro, una strepitosa condivisione di idee per una comunità generativa che ingloba la dimensione umana in tutte le sue età e in diversi contesti sociali.
Serva cura delle relazioni, nuovi rapporti che creano valore. Bisogna trasgredire, nello standard la creatività si aliena. L’Italia è bella perché non è standard. Diversità e creatività vanno coltivate e ordinate per produrre frutti. In un mondo multipolare non possiamo più fondare l’economia sui consumi, ma dobbiamo migrare lo sviluppo sul valore. È necessaria una rivalutazione economia-società e profitto-lavoro e una distribuzione della ricchezza più equa. Essere innovatori sarà avere occhi nuovi in un mondo in cui non ci si può esimere dalla tecnologia nuda e cruda. È indispensabile ricondividere il futuro e come diceva Max Weber pensare a un’economia con base culturale. La comunità va portata nella modernità a partire dalla famiglia che è una micro impresa.
Serve un nuovo modo di abitare, sono necessarie novità perché la storia pone questioni nuove.
Insomma tre giorni intensi per portare a casa messaggi forti.
Dobbiamo rivedere le nostre relazioni creando alleanze forti, serve una cultura del bene pacificante che smette di farci vedere l’altro sempre e solo come un nemico.
E’ necessario integrare il nostro essere nella diversità per creare un’unità creativa e salvifica.
La strada è un logos nuovo, a partire dal logos di Dio che ci dà precise indicazioni sulla via da seguire per essere un ‘noi’ giusto e creativo.
Grazie a chi si prodiga ogni anno in questa avventura, per lasciare il mondo un pochino migliore. www.festivalbiblico.it
Sonia Gastaldi Copyright ©2016